lunedì 30 gennaio 2012


Giustizia, poltrone da assegnare
Ecco chi lotta per Roma e Napoli


La carica del Procuratore nazionale Antimafia, Piero Grasso, è in scadenza. Nella Capitale dovrebbe finire Giuseppe Pignatone, oggi capo della procura di Reggio Calabria. La partita invece per la direzione di Napoli è ancora aperta.

Due procure importanti, quella di Roma e quella di Napoli, nelle prossime settimane avranno nuovi capi, nominati dal Consiglio superiore della magistratura. E presto dovrebbe esserci un cambio, voluto dal ministro della Giustizia, Paola Severino, alla direzione del Dap (il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), guidato da Franco Ionta. In autunno, invece, se si voterà nell’aprile 2013 dovrebbe aprirsi la partita alla successione di Piero Grasso a capo della Procura nazionale antimafia. Le indiscrezioni tra Palermo e Roma dicono, infatti, che entrerà in politica. D’altronde, lui stesso in un’intervista al Giornale di Sicilia del 5 gennaio l’ha fatto capire: “Non guardo a un’eventuale esperienza politica sotto forma di schieramento con un partito, cosa che è estranea al mio ruolo, alla mia funzione e alla mia cultura. Penserei piuttosto a quella che ho definito una lista civica nazionale”. In effetti, ha rifiutato l’offerta di una parte del Pd di candidarsi a sindaco di Palermo.


La nomina più sicura, a oggi, è quella del procuratore di Roma: al Csm c’è una convergenza su Giuseppe Pignatone, attuale capo della Procura di Reggio Calabria. Ci sono pareri favorevoli e trasversali sul magistrato che da 4 anni guida una procura difficilissima come quella di Reggio Calabria. Con l’arrivo da Palermo di Pignatone e del procuratore aggiunto, Michele Prestipino, sono decollate indagini contro la ‘ndrangheta e le sue collusioni anche in stretta collaborazione con la Procura di Milano.

Il posto di procuratore capo di Roma l’avrebbe tanto voluto l’attuale reggente, il procuratore aggiunto, Giancarlo Capaldo. Di chance ne aveva molte, ma un pranzo quanto meno inopportuno l’ha fatto cadere in disgrazia. Nel dicembre 2010 è stato ospite a casa dell’avvocato Luigi Fischetti, legale del figlio, con a tavola l’allora ministro Giulio Tremonti e il suo braccio destro, il deputato del Pdl, Marco Milanese, indagato a Napoli e in quel periodo già “attenzionato” dalla Procura di Roma che lo avrebbe messo sotto inchiesta nelle settimane successive. Per quel banchetto la Prima commissione del Csm ha aperto un fascicolo.

Il nuovo procuratore di Roma, che dovrebbe insediarsi al massimo tra un mese e mezzo, dovrà dare prova di resistenza alle pressioni che nell’ufficio soprannominato “il porto delle nebbie” sono sempre state fortissime. Sono in corso indagini delicatissime sulla corruzione. Dalla mega inchiesta con tanti rivoli di Finmeccanica, a Sogei, Enav, un filone della P4, un filone di Mediatrade, Rai cinema e Rai spa. Anche il prossimo procuratore di Napoli si ritrova un ufficio al centro di inchieste importanti e che hanno provocato polemiche a non finire. Non solo quelle sulla camorra, sul clan dei casalesi in particolare, che vede indagato, tra gli altri, il deputato del Pdl, Nicola Cosentino, ma anche l’inchiesta su Valter Lavitola e la corruzione internazionale.





 DAP   Roma


La nomina imminente, però, sembra essere quella del capo del Dap. La poltrona di Franco Ionta, ex procuratore aggiunto di Roma e fino a poche settimane fa anche commissario straordinario per il piano carceri, traballa. Nominato dal governo precedente, Ionta è criticato dall’alto e dal basso. Secondo quanto risulta a Il Fatto Quotidiano, quando ancora Berlusconi era premier, c’è stata una sollecitazione scritta del Quirinale perché venisse affrontato il problema carceri, ma Ionta, pare che non abbia neppure risposto

E giovedì scorso il primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, ha parlato di “scarsi risultati” del piano carceri. Diversi dirigenti dell’ufficio di Ionta e una larga fetta della polizia penitenziaria lamentano l’assenza di una politica carceraria. Il ministro Severino ha tempo fino a metà febbraio per confermarlo o revocarlo. Le voci di via Arenula danno il capo del Dap in uscita anche se l’operazione non è facile, essendo Ionta un protetto di Gianni Letta. Ma già circolano nomi su chi potrebbe prendere il suo posto: Livia Pomodoro, presidente del Tribunale di Milano, Paolo Mancuso, che concorre, come detto, alla Procura di Napoli e che è già stato vicedirettore del Dap, Francesco Maisto, presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna, una vita spesa per avere un sistema penitenziario civile. Anche Maisto è stato un magistrato distaccato al Dap. Nei corridoi del ministero della Giustizia girano, inoltre, i nomi di Giovanni Tamburino, presidente del Tribunale di sorveglianza di Roma e Angelica Di Giovanni, ex presidente del Tribunale di sorveglianza di Napoli.

da Il Fatto Quotidiano del 28 gennaio 2012


http://www.ilfattoquotidiano.it

CARCERE DI IMPERIA SOTTO OSSERVAZIONE



ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/14591

Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 574 del 23/01/2012
Firmatari
Primo firmatario: BERNARDINI RITA

Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO

Data firma: 23/01/2012
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario
Gruppo
Data firma
PARTITO DEMOCRATICO
23/01/2012
PARTITO DEMOCRATICO
23/01/2012
PARTITO DEMOCRATICO
23/01/2012
PARTITO DEMOCRATICO
23/01/2012
PARTITO DEMOCRATICO
23/01/2012
Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
  • MINISTERO DELLA SALUTE
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELLA GIUSTIZIA delegato in data 23/01/2012
Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-14591
presentata da
RITA BERNARDINI

lunedì 23 gennaio 2012, seduta n.574

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. -
Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute.
- Per sapere - premesso che:


secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa APCOM del 16 gennaio 2012, un detenuto italiano di 28 anni, Fabio Parodi, è stato trovato morto nella sua cella che divideva con altri detenuti, all'interno del carcere di Imperia. Era recluso per i reati di furto e detenzione di sostanze stupefacenti; 



l'uomo stando ai primi accertamenti sarebbe deceduto per cause naturali, forse un infarto. Il giovane nel 2008 era finito nelle maglie dell'inchiesta «Maracanà» portata a termine dalla polizia con una serie di arresti nel mondo savonese degli stupefacenti. Fabio Parodi, nel 2009, era stato condannato anche per aver derubato il fioraio del cimitero di Zipola;


solo nel 2010, nel carcere di Imperia si sono registrati 13 episodi di autolesionismo, 3 tentati suicidi, 11 atti di autolesionismo, 12 scioperi della fame e 2 episodi violenti che hanno determinato danneggiamenti di beni dell'amministrazione penitenziaria;


secondo quanto denunciato dal Sappe, nel carcere di Imperia mancano in organico circa 30 agenti di polizia penitenziaria, mentre i detenuti sono costantemente oltre la capienza regolamentare: 100/110 i presenti(il 60 per cento dei quali stranieri) a fronte di 69 posti letto -:


quali iniziative di competenza intendano assumere per accertare se al detenuto quarantaquattrenne morto di infarto nel carcere di Imperia sia stato consentito di sottoporsi tempestivamente a visite medico-specialistiche nonché di potersi adeguatamente curare, essendo, in caso contrario, stato negato al medesimo l'inalienabile diritto alla salute che appartiene ad ogni essere umano al di là dei delitti presuntivamente commessi.(4-14591)

sabato 28 gennaio 2012

ADDIO A MORSELLO,CAMBIO' IL CARCERE

------------------------------ ITENZIARIA----------------------------


 
Aveva appena compiuto 74 anni. Luigi Morsello, il direttore di carcere che ha innovato il sistemadetentivo italiano, se n’è andato ieri mattina, intorno alle 6, nel suo letto d’ospedale. Da 15 giorni era ricoverato per problemi di fegato e non si è più ripreso. La sua scomparsa lascia un grande vuoto nel mondo penitenziario. Molto apprezzato per le sue doti umane, Morsello era arrivato a Lodi nel settembre del 1997 ed era rimasto qua fino al pensionamento, nel gennaio 2005. Proveniva da una lunga esperienza, nelle carceri italiane. Era stato in 18 istituti, dal Nord al Sud dello stivale, affrontando anche momenti difficili, negli anni caldi della contestazione,finendo persino a processo, per essere poi assolto. Morsello non faceva mistero neanche della sua malattia, la depressione bipolare chel’aveva condotto persino a spararsi un colpo di pistola. L’aveva dichiarato, senza problemi, nel corso di un’intervista rilasciata al direttore del «Cittadino» Ferruccio Pallavera, alla vigilia del pensionamento. Negli ultimi anni era riuscito a curarla, con l’uso di un farmaco che nessuno gli aveva mai consigliato. Era molto soddisfatto per questo. Eppure il tentativo di suicidio, aveva detto pensando in positivo, l’aveva legato ancora di più alla vita, alla moglie e ai suoi tre figli. Parole di cordoglio arrivano dal provveditore Luigi Pagano. «È stato un mio direttore - commenta - e poi un amico quando è andato in pensione. Ci scrivevamo molto. La sua era una personalità a tutto tondo. Si interessava di tutto e su tutto aveva un’idea. Un’idea non da bar, ma da tecnico che entra nei dettagli con competenza. Era un uomo puntiglioso. Le sue note erano piene di riferimenti giurisprudenziali e bibliografici. Ci siamo visti l’ultima volta a Lodi per il suo libro “La mia vita dentro”», che era stato poi presentato anche in Parlamento. «Era un direttore decisionista - aggiunge Pagano -, ovunque andasse lasciava il segno. Quando arrivava in un istituto, in quattro e quattro otto sistemava le cose. A tutto pensava, tranne che si potesse riposare. È stato il primo direttore di carcere in Italia che ha avviato, proprio a Lodi, il reinserimento lavorativo dei detenuti che avevano compiuto reati come violenze sessuali o pedofilia. Ci voleva un bel coraggio, in una struttura di provincia come la Cagnola, in quel periodo. Sulla base di questa sua esperienza è stato aperto un reparto analogo, successivamente, a Bollate. Ovunque andasse risolveva i problemi aperti. Era un burbero apparente: dietro la facciata si nascondeva un’infinita generosità».Sabato Pagano avrebbe dovuto partecipare all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Invece ha scelto di venire
con i suoi collaboratori ai funerali che si terranno nella chiesa di San Lorenzo, alle 9. (La salma partirà dalla casa, al 4 di via Vignati e sarà sepolta al cimitero di San Bernardo). «Era una persona originale -aggiunge con affetto il comandante della Cagnola Raffaele Ciaramella, esercitava l’autorità senza problemi, non posso che dire bene di lui. Io e tutto il personale siamo molto rattristati e vicini alla famiglia. Per tutto il giorno non abbiamo parlato d’altro». Pasquale Franco dell’Associazione lodigiana volontariato carcere riconosce a Morsello «doti di grande umanità. «Era una persona molto disponibile - racconta -. Ci diceva sempre: “Trovate un lavoro a questi detenuti che li facciamo uscire tutti. Il carcere non serve a niente. Se queste persone vanno fuori guadagnano qualcosa e mantengono la famiglia. Non si redimono certo stando in branda”. Avevamo portato anche il lavoro in carcere. La Bassani motori forniva i motori da avvolgere e assemblavano le plafoniere della Brocca. Poi le porte si sono aperte e i detenuti hanno iniziato a lavorare per la cooperativa San Nabore e per la Luna. Alcuni lavorano ancora lì adesso. Morsello era un uomo capace di comprendere i grandi drammi esistenziali che si nascondono dietro le persone ristrette. «Se ci fossimo trovati nelle stesse circostanze di vita di queste persone - diceva -avremmo fatto anche noi come loro. Veniva sempre incontro ai volontari. Capiva che eravamo preziosi. Morsello ha umanizzato il carcere». Il volontario di “Los Carcere” Andrea Ferrari è sinceramente commosso. «A lui - dice - devo il mio ingresso in carcere come volontario, insieme ad Alex Corlazzoli e Cristiano Marini. Con lui e il direttore del Cittadino abbiamo dato il via al giornale “Uomini liberi”. Sotto la sua direzione a Lodi abbiamo avuto il record di “articoli 21”, cioè di detenuti che uscivano in permesso di lavoro. Nonostante l’età, aveva molto più a cuore il lavoro all’esterno che le attività ludiche in carcere. Era uno che riusciva a pensare a tutto, persino a progetti sul territorio. Dopo il suo pensionamento il nostro rapporto di incontri è stato sempre costante. Parlavamo di tutto, di carcere, ma anche di politica. Amava molto questa città (Morsello era nato in Basilicata e si era laureato all’università di Napoli, ndr). La sua perdita non sarà facile da compensare. Morsello andava fino in fondo nelle sue battaglie. Quando mi capitava di andare in direzione, già in lontananza sentivo la musica classica che usciva dal suo ufficio. L’augurio è che ritrovi là dove andrà la musica che amava tanto e che questa gli dia serenità".

Viceconte - http://www.ilcittadino.it

giovedì 26 gennaio 2012

IL PROBLEMA DEL SOVRAFFOLLAMENTO SI RISOLVE NELLE AULE DI GIUSTIZIA


Annamaria Gravino





                       
Ieri in pochi hanno registrato le parole dell’altro giorno del Guardasigilli Paola Severino: «Il carcere è una tortura più di quanto non sia la detenzione». Eppure si tratta di un’affermazione molto forte, pronunciata tra l’altro in un momento in cui il tema del sovraffollamento torna centrale nel dibattito politico. Ieri al Senato è ripresa la discussione sul decreto cosiddetto “svuota carceri”, firmato dalla stessa Severino, e il mondo delle guardie penitenziaria ha rivolto una «supplica alla politica», per usare l’espressione di Eugenio Sarno della Uil, «a fare presto e bene». Il Sappe, intanto, denunciava l’aggressione di un agente a Messina e di uno a Milano, ricordando altri episodi simili avvenuti nei giorni scorsi. Nel ricostruire i fatti, i sindacati hanno sottolineato la carenza di personale rispetto al numero di detenuti. Inoltre, già una settimana fa, quando ha svolto la sua relazione in Parlamento, la Severino ha trattato il sovraffollamento come uno dei temi più sensibili da affrontare. Prima di lei, anche Angelino Alfano vi si era soffermato con decisione, lanciando quel piano carceri che resta il primo intervento strutturale in agenda. Richiede però tempi lunghi, mentre l’emergenza è ora e non da ora. Per questo spuntano soluzioni alternative, più o meno condivisi.

L’amnistia e il ruolo dei partiti

L’amnistia è una di queste. Il ministro ha già detto in più occasioni di non avere preclusioni. Ma, insieme, ha ripetuto che se ne devono far carico le Camere o, meglio, «i partiti». «Per poterla fare occorre l’accordo di tutti», ha spiegato. È evidente che il governo tecnico non vuole – e non può – assumersi la responsabilità di una misura del genere. A sostenerla ci sono soprattutto i Radicali, ma per farla passare serve una maggioranza qualificata e raggiungerla appare difficile. Lo stesso segretario del partito, Marco Staderini, ieri spiegava che «il problema sarà l’opposizione demagogica di Lega e Idv che sbandiereranno la messa in libertà di detenuti». Ma non c’è solo il problema propagandistico, per molti c’è anche che l’amnistia, pur essendo un provvedimento davvero “svuota carceri”, non ha nulla di strutturale: i suoi effetti sarebbero presto vanificati, con il rischio di una concreta diminuzione della sicurezza dei cittadini.

I detenuti tossicodipendenti

Un’altra ipotesi è l’intervento su alcune categorie di detenuti. Anche in questo caso in prima fila ci sono i Radicali, che si riferiscono in particolare ai detenuti tossicodipendenti e in carcere per reati connessi alla tossicodipendenza. «Sono intorno al 30%, ben al di sopra della media europea», spiega la deputata Rita Bernardini, prima firmataria di una proposta di legge in cui si chiede la previsione di istituti di custodia attenuata. In sostanza, si tratta di strutture di ricovero dove chi ha problemi di dipendenza possa essere curato. Il presupposto è che «queste persone sono malate», sottolinea la Bernardini, ricordando che Camera e Senato hanno approvato mozioni in questo senso, ma che poi «purtroppo non è stato fatto niente». Eppure, aggiunge, «sul territorio vi sono tante comunità o associazioni che potrebbero ospitare e seguire queste persone per le cure e la riabilitazione e – sottolinea – costerebbe molto meno di quanto costi la detenzione in carcere, dove al massimo ricevono il trattamento metadonico». Inoltre, «in carcere non si studia, non si lavora e non si fa niente e per una persona di quel tipo – dice la Bernardini – questo è devastante, infatti ogni tanto qualcuno si impicca o tenta di impiccarsi».

Agire a monte: nelle aule giudiziarie

Resta da considerare un altro punto di vista, riportando il problema dove ha inizio: nelle aule giudiziarie. È quello che cerca di fare lo “svuota carceri”, che prevede la cella solo come ultima ipotesi. La norma parte da un dato impressionante, riferito dal ministro nella sua relazione: il 42% della popolazione carceraria è in attesa di giudizio. Anche questa proposta però è controversa e riguarda solo chi viene arrestato in flagranza. In moltissimi casi, invece, si finisce in carcere dopo le indagini, con buona pace del sovraffollamento e della presunzione di innocenza. «Oggi – spiega Manlio Contento, penalista e membro della commissione Giustizia della Camera –  c’è già una graduazione: la restrizione in carcere può essere decisa dal magistrato quando ogni altra misura risulti inutile. Ora – aggiunge – il problema vero è proprio questo, perché in diversi casi si mette in carcere la gente, poi la si rimette fuori e poi si fa il processo. Succede anche con i deputati...». In questo meccanismo ha un ruolo la discrezionalità del magistrato, perché basta che «tragga convincimento» che la detenzione in carcere sia necessaria. Per Contento uno degli elementi di «necessario intervento è la rivisitazione dei presupposti per la carcerazione, in modo da difendere di più il diritto alla libertà, che poi non vuol dire libertà assoluta. Nella stragrande maggioranza dei casi potrebbero starsene ai domiciliari, prevedendo il carcere per i reati associativi, per i quali serve l’isolamento, e per quelli che implicano l’uso delle armi o della violenza contro la persona». «Mi sembra – commenta il deputato del Pdl – che questo risolverebbe molto il problema».
 
La responsabilità civile dei magistrati

In questo ragionamento, però, rientra anche un altro elemento: la responsabilità civile dei magistrati. Contento fa riferimento alla relazione della Severino e ricorda che per ingiusta detenzione ed errori giudiziari lo Stato sborsa a 46 milioni di euro. «Nel corso del mio intervento – spiega – ho chiesto al ministro che ci facesse sapere, anche in relazione a questi importi, quanti procedimenti sono stati aperti nei confronti dei magistrati e quante sono state le eventuali condanne. Nessuno vuole impedire ai magistrati di fare il loro dovere, serve il dovuto equilibrio, ma se questo strumento fosse rafforzato con la legge sulla responsabilità civile probabilmente ci sarebbero meno detenzioni in carcere e più domiciliari».

da  "Il Secolo d'Italia"  24.01.2012

venerdì 20 gennaio 2012


 

 

Giustizia: rinviato l'esame del decreto carceri, in Senato si cerca una soluzione condivisa

 Agi, 19 gennaio 2012

Lunga riunione oggi in Senato, dopo lo slittamento alla prossima settimana del dl sul sovraffollamento carcerario, fra il ministro della Giustizia, Paola Severino, e i due relatori - Berselli (Pdl) e Maritati (Pd) - del provvedimento.
Un incontro a cui ha preso parte, fra l'altro, anche l'ex Guardasigilli Nitto Palma, le cui parole, stamattina in Aula, sono suonate all'orecchio della capogruppo dei senatori Pd, Anna Finocchiaro, "un'orazione funebre" al provvedimento.
"Si sta lavorando ad una soluzione concordata per approvare un provvedimento mantenendo la compattezza del Pdl e del Pd", spiega ai giornalisti il presidente della commissione Giustizia, Filippo Berselli, lasciando la sala del governo. Sul tappeto tre proposte: quella del governo che introduce le camere di sicurezza come possibile "spazio" per gli arrestati in attesa di convalida; quella dei relatori che modulano le 48 ore di attesa del primo provvedimento del magistrato fra domiciliari, celle di sicurezza, ed istituti penitenziari; quella del pidiellino ed ex ministro della Giustizia, Nitto Palma, che modula lo stesso passaggio fra domiciliari e casa circondariale in base alla disciplina degli arresti.

Riunione emergenza su nodi tecnici e politici, rinvio a martedì

Battuta d'arresto, nell'aula del Senato, per la maggioranza che sostiene il governo Monti e a farne le spese, per primo, è il decreto legge sulle carceri del Guardasigilli Paola Severino. Infatti, con scrutinio segreto chiesto dalla Lega, sono spuntati 27 franchi tiratori, tra i quali ci sarebbero soprattutto i 'falchì del Pdl desiderosi di tornare alla precedente alleanza con il Carroccio.
Il governo è corso ai ripari rinviando l'iter del dl al prossimo martedì e Severino, vista la difficoltà della navigazione, ha subito convocato una riunione d'emergenza con i relatori del decreto, Alberto Maritati e Filippo Berselli, per cercare una via d'uscita al groviglio di nodi politici e tecnici venuti a galla.
La cartina di tornasole della fronda malpancista è stato il voto sull'emendamento presentato dai leghisti Sandro Mazzatorta e Sergio Divina che chiedevano la soppressione dell'articolo 1 del dl, quello sull'uso delle camere di sicurezza. È questa, in vero, la norma più contestata del provvedimento che mira a deflazionare il sovraffollamento dei penitenziari disponendo la detenzione nelle questure e nelle caserme di chi è colto in flagrante a commettere reati non gravi e deve attendere la conferma del fermo.
Contro questa disposizione, sulla quale non sono mancate le obiezioni delle stesse forze di polizia per l'inadeguatezza delle celle e la mancanza di uomini da destinare alla vigilanza, ha manifestato forti critiche l'ex ministro della giustizia Nitto Palma tirando acqua al mulino della Lega. La capogruppo del Pd Anna Finocchiaro lo ha subito accusato di essere un Marco Antonio che porta sulle braccia il cadavere del decreto.
Secondo Finocchiaro dietro l'intervento di Palma si nasconde "un dubbio, un disagio, un embrione di scelta politica per bloccare questo provvedimento". Per questo, ha insistito, "bisogna votare l'emendamento soppressivo della Lega e respingerlo: se la maggioranza lo farà, vorrà dire che la mia preoccupazione politica è domabile. Altrimenti le mie previsioni sono, ahimè, realistiche!".
La votazione è finita a 198 sì, 52 no, e tre astenuti. I voti della Lega al Senato sono 25: dunque 27 franchi tiratori si sono aggiunti all'emendamento Mazzatorta-Divina determinando l'impasse del decreto. I lavori riprenderanno martedì pomeriggio. L'ex Guardasigilli leghista Roberto Castelli ha avuto buon gioco a commentare il rinvio sottolineando che "la maggioranza del governo Monti non riesce ad andare avanti perché ci sono due pezzi della stessa maggioranza molto diversi, e ci sono grossi malumori nel Pdl per il sostegno a questo esecutivo sempre più connotato come di centrosinistra".

Palma: non voterò mai sì a domiciliari per scippatori

Uno scontro tutto di merito, superabile con una soluzione tecnica: così l'ex ministro della Giustizia Nitto Palma (Pdl) descrive la sua presa di posizione sul decreto Severino che affronta il tema del sovraffollamento delle carceri. Dopo aver partecipato a palazzo Madama a un vertice con il ministro e i relatori (Pdl e Pd) del provvedimento arenatosi stamane nell'aula del Senato, Palma, la cui posizione è sostenuta anche dall'ex sottosegretario Giacomo Caliendo, anche lui senatore Pdl, ha spiegato ai cronisti che lui "condivide il principio" contenuto nel decreto ma ha aggiunto: "Nella norma chiamata in causa dall'emendamento dei relatori che prevede la custodia degli arrestati in prima istanza ai domiciliari sono ricompresi reati per i quali c'è l'arresto obbligatorio in flagranza, come il furto in appartamento, il furto con strappo e il 73 (del Testo unico sulle droghe, ndr) che sono reati di grande allarme sociale, per i quali non voteremo mai, o almeno, io non voterò mai l'arresto domiciliare, a meno che non resti al pubblico ministero il potere di deciderli". Secondo Palma, tuttavia, nella riunione col ministro "abbiamo fatto un approfondimento, mi sembra che si possa raggiungere un accordo". Di tutt'altro avviso Alberto Maritati (Pd), relatore del provvedimento insieme a Filippo Berselli del Pdl: "È un problema politico interno al Pdl, va risolto".

mercoledì 18 gennaio 2012

EMERGENZA CARCERI


IL MINISTRO SEVERINO AL PARLAMENTO




Emergenza carceri. "Sento fortissima, insieme a tutto il governo, la necessità di agire in via prioritaria e senza tentennamenti per garantire un concreto miglioramento delle condizioni dei detenuti, ma anche degli agenti della polizia penitenziaria, che negli stessi luoghi ne condividono la realtà e, spesso, le sofferenze", scandisce il Guardasigilli. Spiegando che, al di là dei dati numerici, (sono "66.897 i detenuti che, salvo poche virtuose eccezioni, soffrono modalità di custodia francamente inaccettabili per un Paese come l'Italia"), "siamo di fronte a un'emergenza che rischia di travolgere il senso stesso della nostra civiltà giuridica, poiché il detenuto è privato delle libertà soltanto per scontare la sua pena e non può essergli negata la sua dignità di persona umana".

lunedì 16 gennaio 2012

Muore in carcere a Imperia un detenuto di 28 che stava scontando una pena per droga e furto



Imperia - Accertamenti sono ora in corso per risalire alle cause del decesso e soprattutto per capire, se si tratta di suicidio o morte per cause naturali.
                                             
Un detenuto italiano di 28 anni, Fabio Parodi, è stato trovato morto, stamani, nella sua cella che divideva con altri detenuti, all'interno del carcere di Imperia.Stava scontando una pena per i reati di furto e detenzione di sostanze stupefacenti. Secondo le prime indiscrezioni sarebbe deceduto per cause naturali, forse un infarto.
Il giovane nel 2008 era finito nelle maglie dell’inchiesta “Maracanà” portata a termine dalla polizia con una serie di arresti nel mondo savonese degli stupefacenti. Fabio Parodi, nel 2009, era stato condannato anche per aver derubato il fioraio del cimitero di Zinola.


Roma, evasione da film a Regina Coeli
Fuggono in 2 ma il terzo è troppo grasso


Roma, evasione da film a Regina Coeli Fuggono in 2 ma il terzo è troppo grassoUNA VEDUTA DEL MURO DI CINTA DEL CARCERE DI REGINA COELI DI VIA DELLE MANTELLATE

Proprio come nelle pellicole d'azione, i due, un albanese e un romeno in cella per rapina, hanno segato le sbarre, fatto un balzo di 20 metri e poi si sono calati in strada con le lenzuola legate insieme.

Chissà da quanto tempo stavano programmando la fuga tra le quattro pareti della loro cella. Avevano curato il piano senza tralasciare alcun particolare, tutto doveva essere fatto in pochi minuti: segare le inferriate, saltare con un'acrobazia sul tetto del piano inferiore, correre per una cinquantina di metri e calarsi sulla strada con le lenzuola legate l'una all'altra. Un classico dei film polizieschi, trasformatosi questa notte in realtà, con un pizzico di commedia. E già, perché gli attori protagonisti della "Fuga da Regina Coeli" sarebbero dovuti essere tre e non due, come accaduto. Il terzo, suo malgrado, è rimasto in cella perché "troppo grasso" per passare attraverso il buco nell'inferriata.

Le foto segnaletiche dei due evasi, un albanese di 28 anni ed un romeno di 24 entrambi in carcere per rapina, sono state distribuite a tutte le forze dell'ordine. Controlli a tappeto anche da parte di carabinieri, Guardia di Finanza e polizia penitenziaria, mentre la Procura ha aperto un fascicolo assegnato al pm Paolo D'Ovidio. Il gesto dei due malviventi è stato immortalato anche dalle telecamere di sicurezza dell'istituto e già passate al vaglio degli inquirenti e dei dirigenti del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. Qualcuno, in carcere, ha già affibbiato loro il soprannome di "fuggiaschi acrobati", dopo aver visto il punto dal quale si sono lanciati per darsi alla fuga: 20 metri per passare dalla loro sezione al tetto del piano inferiore. Dopo aver segato le sbarre della loro cella ed aver compiuto il salto si sono diretti verso un palo sul quale sono installate altre telecamere di sicurezza. Qui vi hanno legato delle lenzuola bagnate, per migliorare l'aderenza ed evitare bruciature, e si sono calati in strada. Abilità maturate con gli anni durante i 'colpi' messi a segno in ville e banche. Nel 'palmares' di Altin Hoxha, l'albanese detto 'Occhi di ghiaccio', c'è anche la villa dell'allora allenatore del Perugia Serse Cosmi.

Stupore tra i residenti della zona in cui sorge il carcere di Regina Coeli, nel quartiere di Trastevere. L'unico ad aver visto la corda fatta di lenzuoli ancora appesa è un parcheggiatore, al suo primo giorno di lavoro. "Ho visto queste lenzuola, forse stracci - ha detto - che penzolavano qui dal muro. Probabilmente erano stati legati al palo delle telecamere che avevano spostato per non farsi riprendere". Non si è accorta di nulla, invece, un'altra signora che vive da anni in via delle Mantellate, dove i due banditi sono 'atterrati' prima di dileguarsi per le vie della città.

Inevitabile scoppia la polemica per la situazione delle carceri italiane e per il ridimensionamento del personale della polizia penitenziaria. Il garante dei detenuti del Lazio denuncia una "carenza enorme di agenti", mentre il segretario generale dell'Osapp parla di sovraffollamento. Nel frattempo a Roma è caccia all'uomo, con gli evasi "acrobati" che cercano di dribblare controlli e posti di blocco.

venerdì 6 gennaio 2012


Il Ministro  Severino

Decreto legge sull' emergenza carceri: scontro tra la Polizia e il Ministro della Giustizia

 
 «Sono norme concordate totalmente con il ministro dell'interno, alla presenza dei vertici di polizia». Così replica il ministro della Giustizia Paola Severino, a proposito delle critiche al decreto legge sulle carceri espresse dal vice capo della polizia Francesco Cirillo sull'uso delle camere di sicurezza. Il ministro ha detto peraltro di «attendere di conoscere le considerazioni» espresse dal vice capo della polizia alla stessa Commissione Giustizia del Senato, prima di esprimersi. E ha insistito sulla «piena condivisione» delle norme del decreto sulle carceri da parte del Viminale e dei vertici della polizia.

giovedì 5 gennaio 2012

IL DIRETTORE DEL CARCERE DI AOSTA DISPONIBILE AL CONFRONTO

Carcere, lite tra il sindacato Osapp e il direttore


Brissogne - Botta e risposta la sigla sindacale e la direzione. L'Osapp ha inviato una lettera al Ministro della Giustizia e al capo dipartimento, lamentando "comportamenti ostili". Pronta la replica di Minervini: "Sempre pronti al dialogo se richiesto".




 

                                                           Il carcere di Brissogne (Aosta)

Non si placa il burrascoso scontro tra l'Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria (Osapp) e il direttore della casa circondariale di Brissogne, Domenico Minervini.
Ieri Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, ha inviato una lettera a Franco Ionta, capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e al Ministro della Giustizia, Paola Severino. La lunga e circostanziata missiva faceva riferimento a “'comportamenti impropri e chiarissimi atteggiamenti e fatti ostili' che sarebbero avvenuti nell’istituto. L’Osapp, si legge nel comunicato, avrebbe più volte chiesto una presa di posizione da parte del Provveditore Regionale dell'Amministrazione penitenziaria per il Piemonte e la Valle d'Aosta Aldo Fabozzi, il quale, però, avrebbe appoggiato “scelte e comportamenti del tutto errati” e manifestato “palesi imparzialità di giudizio qualora le vertenze nel richiamato istituto siano sostenute da Sigle sindacali diverse da quella scrivente'.
L’Osapp ha quindi provveduto ad elencare, tramite lettera, cinque problemi o motivi di dissenso con la direzione del carcere: Sarebbe stata autorizzata da parte del una telefonata premio ad un detenuto appena prima protagonista di aggressione ad un sovrintendente, un appartenente alla Polizia Penitenziaria in Aosta sarebbe stato costretto a chiedere il congedo davanti all'ultimatum “o ti fai il congedo o te lo diamo d'ufficio”, il direttore, a mezzo stampa, avrebbe definito le contestazioni sindacali “guerra tra bande”, la direzione di Aosta non avrebbe provveduto per mesi e mesi a convocare specifici incontri con le parti sindacali, e infine, nell’ambito del tg3 regionale, il direttore dell’istituto avrebbe dichiarato la piena disponibilità ai detenuti del campo sportivo in realtà chiuso, provocando “un vero e proprio sollevamento” tra i detenuti.
Oggi Domenico Minervini, direttore della casa circondariale, ha risposto pubblicamente alle accuse, cominciando col chiarire che 'le questioni devono essere affrontate prima in ambito locale e poi, in caso di necessità, ci si può rivolgere alle strutture gerarchicamente superiori”. Secondo Minervini l’Osapp, in due anni, non avrebbe mai richiesto un incontro chiarificatore, “al contrario di quanto avviene con gli altri sindacati, con i quali ho un quotidiano e costruttivo confronto'. Il 13 dicembre scorso c'è stato un incontro davanti al Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria per il Piemonte e la Valle d'Aosta, e in quella sede, prosegue il direttore, “l'Osapp ha esternato le proprie problematiche, peraltro non condivise dagli altri sindacati, ma rispetto alle quali ho dato la mia disponibilità ad un incontro chiarificatore subito dopo le festività. Non temo l'incontro e resto in attesa di una loro richiesta'.


di Elena Tartaglione  ( da Aosta Sera.it)
05/01/2012